PAROLA E VITA

In Cristo nulla è vanità
XVIII Domenica del Tempo Ordinario, 1° agosto 2010


di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 30 luglio 2010 (ZENIT.org).- “Uno della folla gli disse: “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. Ma egli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”. E disse loro: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”. Poi disse loro una parabola: “La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così, disse, demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti! Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce presso Dio”. Poi disse ai suoi discepoli: “Per questo io vi dico: non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che vestirete. La vita infatti vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli valete voi! Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? Se non potete fare neppure così poco, perché vi preoccupate per il resto? Guardate come crescono i gigli: non faticano e non filano. Eppure io vi dico: neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così bene l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più farà per voi, gente di poca fede. E voi non state a domandarvi che cosa mangerete e berrete e non state in ansia: di tutte queste cose vanno in cerca i pagani di questo mondo, ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12,13-21).

Oggi il Signore ci invita a guardare gli uccelli del cielo e l’erba del campo con lo sguardo dell’intelletto, quello capace di “leggere dentro” la realtà e gli avvenimenti che ci circondano. E Gesù chiarisce subito il messaggio delle parabole che sta per raccontare: “Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede”.

Tale verità, a dire il vero, da sempre non è meno evidente della nostra stessa esistenza, come sottolinea tristemente Qoelet: “Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità: tutto è vanità. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?”(Qo 1,2-3).

La domanda di Qoelet (con il suo pessimistico messaggio iniziale) è stata posta nel III secolo a.C. in vista del Vangelo odierno di Gesù, la cui risposta potrei sintetizzare così: nessun guadagno, se la fatica con cui l’uomo si affanna sotto il sole non è nella volontà di Dio, ma se l’uomo compie la volontà di Dio in tutto ciò che fa, allora nulla è vanità, nemmeno un atomo.

Gesù fa appello anzitutto all’intelligenza naturale: “Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. (…)Guardate come crescono i gigli: non faticano e non filano. Eppure neanche Salomone vestiva come uno di loro. Se Dio dunque veste così bene l’erba del campo..” (Lc 12,24.28). Gli esempi possono continuare: Dio nutre le balene con il plancton del mare e i ghepardi con le gazzelle; l’ippopotamo con quaranta chili d’erba al giorno e i merli con le ciliegie degli alberi e i vermi della terra. Queste risorse non sono meritate dagli animali.

D’altra parte è pur vero che, tanto una formica che un elefante devono darsi da fare per sopravvivere, e non sempre trovano il necessario. Se poi pensiamo ai cataclismi naturali, vediamo con sgomento che in un attimo Dio spazza via dalla faccia della terra tutto ciò che ha creato in un determinato luogo, uomini compresi.

E non sono solo gli uragani a mettere in crisi la fiducia nella divina Provvidenza, ma anche i fatti quotidiani, come quello recentissimo dei nostri due soldati morti in Afghanistan per una tragica “fatalità”. Sì, a sentire e vedere il telegiornale viene da pensare che Qoelet aveva ragione, mentre le parole rassicuranti del Signore sembrano essere smentite ogni giorno e mille volte dai fatti.

Certo il paragone di Gesù calza fino a un certo punto: infatti piante ed animali non hanno quell’intelligenza e quella coscienza umana che permettono un autentico e libero rapporto di fiducia nel Padre celeste, fonte di ogni bene.

Cosa vuol dire, allora, realisticamente, che se “Dio nutre gli uccelli del cielo”, a fortiori, molto più “ farà per voi, gente di poca fede”?

Vuol dire anzitutto la verità della creazione.

Vale a dire: Dio ha inscritto nel DNA di ogni creatura l’informazione necessaria perchè si rivesta e si difenda da sé secondo la propria specie (pensiamo alla mirabile organizzazione delle difese immunitarie), e quella che insegna ad ogni animale a procurarsi il cibo, a costruirsi il nido, o a migrare per decine di migliaia di chilometri da un continente all’altro per riprodursi ogni anno nello stesso luogo.

Comunemente si dice che tutto ciò è opera di “madre natura”, ma oltre al fatto che, da che mondo è mondo non s’è mai sentito che una madre sia l’insieme del suoi figli, il concetto non può non far risalire all’Autore di tutte le cose, se solo ci si libera, in tutta umiltà e verità, del pregiudizio ateo.

Tuttavia, la conclusione di Gesù non è facile: “Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12,21).

Si può comprendere solo se, alla luce della parabola dell’uomo ricco colto da morte improvvisa, riconosciamo e perseguiamo il vero valore da salvare nella vita per essere felici, sia concretamente giorno per giorno, sia come necessaria opzione fondamentale. Allora pur in mezzo alla precarietà dell’umana avventura, sarà dato sperimentare la verità della promessa di Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10); ma nessuno potrà sperimentare tale abbondanza se non possiede la povertà del cuore: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno di Dio” (Mt 5,1).

Se dunque vivo secondo la fede che il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me, obbedendo in tutto alla sua Parola e alla voce della retta coscienza che mi aiuta a riconoscere e a compiere attimo per attimo la volontà di Dio (cosa che equivale alla comunione piena con il suo amore di Padre), allora non solamente farò l’esperienza che Dio provvede sempre al mio vero bene, servendosi di tutto e di tutti, ma in tale volontà troverò effettivamente la vera gioia del cuore, profonda e inalienabile come gli abissi del mare, gioia che non mi sarà tolta da ogni genere di difficoltà materiale e morale, né dalla tristezza del dolore umano (nostra sorte ed eredità su questa terra), come non fu tolta dal cuore di Gesù crocifisso e da quello di sua Madre presso la croce.

In definitiva: perché Gesù fa’ bene a volgere il nostro sguardo agli uccelli del cielo e ai gigli del campo? Non sono queste creature irrazionali? Che paragone può esserci con la nostra libertà?

In effetti, poiché gli animali e i vegetali non sono esseri razionali, non possono disobbedire alla propria specifica “legge naturale”, geneticamente inscritta nel DNA. Ciò consente a Dio di disporre sapientemente ogni cosa in natura, così da assicurare il mirabile equilibrio dell’ecosistema planetario, cui contribuiscono anche le catastrofi naturali. In tal modo biologico, queste ed altre creature non razionali sono comunque per noi un esempio di perfetta conformità alla volontà divina. L’unica causa, infatti, di devastazione/impedimento di tale stupefacente armonia della natura è l’uomo, la cui libertà, usata in disobbedienza al “DNA” della legge naturale che il Creatore gli ha inscritto nell’anima, di fatto ostacola e vanifica la divina Provvidenza verso tutti, impedendo a Dio di essere il Dio della vita, e della vita abbondante (Gv 10,10).

Certo, tale abbondanza non va ricercata sul piano effimero delle cose di questo mondo, ma su quello spirituale della Vita eterna di Dio, a noi comunicata in Cristo. Tale verità fa comprendere che anche il tragico, dolorosissimo destino delle vite innocenti stroncate dal Male (pensiamo ai milioni di uomini concepiti e uccisi in provetta e nel grembo!), mentre ci sforziamo di confidare nel misterioso disegno di Dio che sa trarre il bene anche dal peccato, non vanifica né contraddice la promessa di quella eredità migliore che è la sorte predestinata per ogni uomo concepito: la gioia dell’unione beata con il Dio dell’Amore e della Vita, a partire da questa terra e per sempre.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

PAROLA E VITAultima modifica: 2010-08-04T10:14:57+02:00da gioiaepace
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