Lo Spirito che dà la vita e la consola

 
VI Domenica di Pasqua, 29 maggio 2011

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 27 maggio 2011 (ZENIT.org).- “Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo” (At 8,15-17).

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui’” (Gv 14,15-21).

Nell’imminenza della propria morte, Gesù cerca di rincuorare i discepoli sgomenti comportandosi come una madre che, mentre si distacca dai suoi bambini sulla soglia di casa, non cessa di rassicurarli promettendo di far presto ritorno per non lasciarli mai più.

Nei “discorsi di addio”, infatti, per ben cinque volte, il Signore annuncia ai discepoli l’imminente venuta dello Spirito Santo, promessa doppiamente rassicurante poichè:

1) lo Spirito li conforterà con la sua presenza, come se fosse un altro Gesù: “..ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito..” (Gv 14,16a);

2) lo Spirito non se ne andrà mai più: “..perché rimanga con voi per sempre..” (14,16b).

Dalle sue parole, i discepoli intendono che Gesù sarà sostituito da “un altro”, un’altra persona, ma nello stesso tempo egli va affermando che si tratterà di lui stesso: “Non vi lascerò orfani, verrò da voi..voi mi vedrete..saprete che io sono..in voi” (Gv 14,18-20).

Perciò, la venuta dello Spirito equivarrà al ritorno permanente di Gesù, anche se il Signore non cesserà di rimanere dove sta per andare: “In quel giorno saprete che io sono nel Padre mio…” (14,20). Tutto ciò suscita alcune domande.

Come possono i discepoli afferrare un discorso tanto complesso e così poco “logico”? Quando Gesù sarà tornato, potranno davvero incontrarlo come prima della sua dipartita? Che rapporto c’è tra lo Spirito Santo e Gesù?

Domande decisamente attuali, se consideriamo che, a distanza di duemila anni, la caratteristica più evidente dello Spirito Santo, dal nostro versante, è ancora la sua “inafferrabilità”, la difficoltà a concepirlo come “persona”, un “tu” con un volto da guardare. Del resto, i simboli che si riferiscono allo Spirito sono realtà inafferrabili: la luce, il fuoco, la fonte, il vento…Eppure è del tutto possibile sperimentarne la misteriosa presenza, a partire dall’esperienza più comune e radicale che ad ognuno è dato di fare, quella della coscienza di sé, del proprio “io”, del proprio “cuore”.

E’ questo che sembra suggerire il Signore stesso dicendo: “Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi” (Gv 14,17b). Come si conosce bene il proprio “io”, quasi fosse un “altro” di fronte a sé, così lo Spirito del Signore si manifesta interiormente in modo da essere colto nell’autocoscienza personale: “…e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20a).

Detto questo, bisogna ammettere che la definizione “funzionale” dello Spirito come “Paraclito” (“Avvocato”, “Intercessore”), non suggerisce immediatamente una via per entrare in un rapporto vivo e personale con Lui. Più favorevole e significativo, al riguardo, sembra essere il suo nome di “Consolatore”: lo Spirito è colui che consola il cuore dell’uomo, come fa una mamma col suo bambino.

La sofferenza più angosciosa, infatti, è la solitudine del cuore, ben comprensibile se solo ricordiamo che ognuno di noi inizia l’esistenza sotto il cuore della madre, i cui battiti amorosi ci accompagnano cullandoci per nove mesi. E’ la solitudine generata da una ferita non rimarginata, o dal rimorso per un peccato grave commesso, o dall’incomprensione delle persone che amiamo, dal rifiuto e dall’indifferenza altrui, da un giudizio inesorabile ed ingiusto, ecc.. In questi casi, il nostro cuore (vale a dire la gioia di vivere) sembra battere a vuoto: desidera aprirsi, ma non può comunicare; possiede l’amore, ma non lo può donare.

Ebbene, se la conseguenza di tale profonda, radicale solitudine è la tristezza di non poter liberamente amare ed essere amati dalle creature, molto di più sarà fonte di esaudimento e felicità poter amare ed essere amati dallo Spirito Santo, che è l’Amore increato. In verità ciò è fonte di ineffabile “consolazione” (alla lettera: “stare con colui che è solo”).

Per questo Gesù promette oggi: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi” (Gv 14,18). Dice “orfani”, perché la consolazione del suo Spirito non corrisponde più ad una presenza esteriore, ma è totalmente interiorizzata al livello profondo delle radici del cuore, come il legame viscerale tra una madre e il figlio. Potrei usare questo paragone: lo Spirito fa sì che il cuore senta di non essere più solo a battere, ma si senta…in due, come i due polmoni che respirano sempre insieme in perfetta sinergia. Non per nulla “Spirito” (che certamente non è rappresentabile dai polmoni), è parola che in ebraico significa “respiro della vita” (Gen 7,15). E’ lo Spirito, infatti, che fa vivere (Ez 37,1-14).

Così, la presenza permanente dello Spirito dentro di noi può realmente essere riconosciuta, sperimentata, allo stesso modo in cui si ha la coscienza di respirare, e la volontà può fermare il respiro e poi riprenderlo, e la memoria può poi dimenticarsene mentre esso automaticamente continua ad elargire la vita.

Nel suo compito vitale, il respiro è il compagno fedele di ogni nostro movimento, l’amico di ogni stato d’animo: quando ci alziamo e quando ci corichiamo, quando siamo in pace e quando siamo in ansia, quando fatichiamo e quando ci distendiamo nel riposo. Il respiro condivide tutto e collabora sempre. Ma, certo, esso è solamente un fatto biologico. Lo Spirito Santo, invece, è infinitamente di più. E’ il “respiro” dell’anima, cioè della nostra persona con la sua libertà di fronte al Padre celeste che l’ha creata. E il di più consiste in questo: lo Spirito imprime alla vita interiore il ritmo della santità, comunica la beatitudine dell’amore, “ossigena” l’anima liberandola dalle scorie dei desideri disordinati e del peccato, facendola amare con purezza di cuore. Opera realmente questi effetti, poiché è fiamma viva dell’amore stesso di Gesù: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12).

In verità, ciò può accadere per il fatto che la coscienza spirituale è strutturata come risonanza ontologica con l’Amore. Creata da Dio al concepimento come organo della persona, la coscienza è perfettamente in grado non solo di entrare in risonanza con la parola e la presenza di Gesù, ma anche di gustarne la divina bontà, la forza, la gioia, la dolcezza, la certezza, la bellezza e la trasformante efficacia. Tutto ciò abolisce ogni residuo di dolorosa solitudine del cuore.

Non ostante, tuttavia, che la potenza della parola divina sia paragonabile a quella del tuono (salmo 29/28), la voce dello Spirito è così sottile da essere facilmente sopraffatta dai nostri rumori. Fuor di metafora, vuol dire che l’ineffabile presenza dello Spirito di Dio si manifesta solamente nel silenzio notturno della preghiera, e in un cuore non più abitato da idoli rumorosi, nè da desideri disordinati. E’ il significato nascosto di queste splendide parole: “Quale mondo misterioso scopriamo nel silenzio: un oceano infinito di calma che nulla può disturbare e ci fa capire che la pace che cerchiamo dietro la montagna incantata è dentro di noi e che Dio è vicino, appena dietro la siepe” (Romano Battaglia, Silenzio, p. 140).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

Lo Spirito che dà la vita e la consolaultima modifica: 2011-06-01T08:19:35+02:00da gioiaepace
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