DA ROMA GIANNI CARDINALE Inizia domani a Roma il 26° Capitolo generale della Congregazione salesiana. Vi partecipano 233 salesiani, provenienti da ogni parte del mondo, che si riuniscono attorno a don Pascual Chávez, rettor maggiore dal 2002, per riflettere insieme su come rispondere ai bisogni dei giovani d’oggi mantenendo la fedeltà e la vivacità del carisma di don Bosco espresse nel motto Da mihi animas cetera tolle. Nel corso del capitolo si procederà anche al rinnovo del consiglio generale, eleggendo o confermando il rettor maggiore e i consiglieri. Prima dell’inizio del capitolo, la cui conclusione è prevista per il 12 aprile, Avvenire ha posto alcune domande al rettor maggiore. Don Chávez, qual è lo stato di salute della Congregazione salesiana? La situazione è piuttosto buona, anche se non si può negare che negli ultimi anni abbiamo assistito ad una diminuzione del numero dei nostri confratelli. In Europa occidentale poi l’età media dei salesiani continua a crescere e il numero di vocazioni è debole. Mentre in AI merica la situazione è stagnante, anche perché il numero di novizi è buono ma manca quella che si può definire la robustezza vocazionale. Grazie a Dio, però, da altre parti del mondo arrivano segnali molto incoraggianti. Da dove? Penso all’Europa orientale: in Polonia, in Slovacchia e in Ucraina c’è un bel numero di nuove vocazioni. Penso all’Africa – dove però c’è bisogno di molta cura nel selezionare le molte vocazioni – e soprattutto all’Asia meridionale, all’India – dove ormai i salesiani sono 2.500 – e al Vietnam dove, nonostante le note difficoltà, i confratelli sono già trecento. Come spiega questo boom vocazionale? Il Signore quando vuole compie miracoli. L’incremento della presenza salesiana in India e Vietnam non è il frutto di una particolare strategia o di un particolare piano missionario. È anche il frutto di un grande impegno missionario di tanti salesiani, ma certamente in questo sviluppo per certi versi travolgente il dito di Dio è stato determinante. Questo per quanto riguarda la quantità, e la qualità? Grazie a Dio il carisma di don Bosco è ancora vivo nella nostra Congregazione. Nonostante la distanza temporale e spaziale che ormai ci separa dal nostro fondatore – i salesiani infatti non sono più una realtà prevalentemente italiana come lo era centovent’anni fa – credo che le intuizioni di don Bosco sono ancora valide oggi e devono essere sempre un faro per la nostra attività pastorale. Quali sono i temi che saranno svolti nel capitolo che inizia domani? La questione più importante che dobbiamo affrontare è quella che tocca la nostra missione specifica che riguarda i giovani. Bisogna evitare che lo squilibrio tra il numero dei confratelli che è più ridotto e le tante opere che dobbiamo seguire non debba comportare un nostro allontanamento fisico dalla realtà dei giovani di oggi. E se ci si allontana dai giovani si finisce poi per non capirli più. Per don Bosco stare vicino ai ragazzi, ascoltare la loro voce con amorevolezza, era un elemento essenziale della sua pedagogia, per avvicinarli a Gesù, per renderli buoni cristiani e onesti cittadini. E Dio sa quanto i giovani di oggi hanno più che mai bisogno di Gesù per il loro bene spirituale e anche per il proprio benessere tem- porale. Si parlerà anche del problema vocazionale? Certamente. Si tratta di una questione strettamente collegata alla precedente. Se infatti i salesiani saranno capaci di raggiungere tanti giovani, e se lo faranno con la gioia e la letizia che ci ha insegnato don Bosco attraverso una proposta educativa che faccia maturare progetti di vita, allora, con l’aiuto di Dio, sarà più facile che possano nascere nuove vocazioni. Che possano arrivare nuovi operai della vigna del Signore. Vista l’impetuosa crescita della Congregazione in realtà storicamente non cristiane come quelle asiatiche, una delle questioni che dovrete affrontare è quella dell’inculturazione. In effetti è così. Non c’è dubbio che in tutta l’Asia il cristianesimo è percepito come una religione occidentale. Fondere quindi, ad esempio, l’identità cristiana con una identità indiana è problematico. Ma necessario. Anche se a volte si corre il rischio di voler conservare una mentalità, una forma di pensiero che in realtà è incompatibile con ciò che è proprio del cristianesimo. Penso ad esempio, ma non solo, all’unicità salvifica di Gesù che a volte sembra essere messa in discussione anche al nostro interno per un malinteso senso di rispetto nei confronti di altre forme religiose. Don Chávez, lei è anche presidente dell’Unione dei superiori generali degli ordini religiosi maschili. Da questo punto di vista privilegiato come vede la situazione della vita religiosa nella Chiesa cattolica? Come avviene nella nostra Congregazione ci sono luci e ombre, sostanzialmente analoghe per tutti. Ritengo tuttavia che la vita consacrata sia ancora una risorsa enorme della Chiesa. Spesso sono i religiosi e le religiose ad essere infatti in prima linea nel grande compito dell’evangelizzazione che riguarda ormai non solo i territori cosiddetti di missione ma anche i Paesi che hanno una lunga storia cristiana. Un’ultima domanda. Mai come ora la Congregazione salesiana ha un peso cospicuo nel collegio cardinalizio e nella Curia romana. Questo costituisce una risorsa o un problema? Certo per noi è un onore che alcuni dei nostri confratelli possano servire da vicino il Papa nel governo universale della Chiesa. Credo che don Bosco dal cielo guardi con un sorriso paterno a tutto questo. Ma noi salesiani non abbiamo e non cerchiamo privilegi o corsie preferenziali. Anche se a volte quando un salesiano viene nominato vescovo i mass media, ma non solo loro, mettono una particolare enfasi sulla sua affiliazione religiosa… Capisco. A quanto mi risulta però, il numero dei vescovi salesiani negli ultimi anni è rimasto stabile: sono sempre intorno ai 110-115. In questo non c’è stato nessun boom.
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